Pubblichiamo un articolo di ROMA TODAY che parla delle iniziative dell’Assemblea per la salute delle donne. (Coordinamento Regionale Sanità)
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https://www.romatoday.it/dossier/sanita/donne-tumore-seno-senza-assistenza-ospedali-roma.html
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ROMA TODAY
SANITÀ MALATA
Attese infinite per la chemio, esami difficili da prenotare. Il calvario delle donne con tumore al seno

I centri senologici integrati dovrebbero offrire alle pazienti un supporto a 360 gradi, dai test diagnostici al follow-up-. Le storie di chi racconta il contrario
Giulia Argenti
Giornalista RomaToday

Elena si è rivolta a tre centri senologici diversi prima di riuscire a trovare l’assistenza di cui aveva bisogno. E ogni volta si è sentita insicura, spaventata, di fronte a una malattia che l’aveva già messa a dura prova. Alessandra è rimasta sette ore in ospedale in attesa del suo turno per il ciclo di chemioterapia e, per prenotare ogni visita a cui aveva diritto, ha dovuto lottare, puntare i piedi, non cedere alla stanchezza.

Le loro sono alcune delle voci delle donne operate per un tumore al seno in uno dei centri senologici integrati (o breast unit) di Roma. Luoghi che devono seguire uno specifico protocollo, prendendo in carico le pazienti con un approccio multidisciplinare per l’intero percorso di cura e assistenza: dagli esami diagnostici all’intervento chirurgico, dalla terapia fino ai controlli di follow-up.
Programmando e fissando gli appuntamenti per tutti i controlli da effettuare.

Un processo che, però, non è sempre così lineare. E a raccontarlo ci sono le voci di tante donne che hanno dato vita all’Assemblea per la salute delle donne. Una rete che raccoglie le segnalazioni delle pazienti in cura nei centri degli ospedali di Roma per tumore al seno e che non trovano l’assistenza di cui avrebbero bisogno.

Cosa sono le Breast unit
A definire nel dettaglio ogni fase di percorso di una Breast unit sono le Linee di indirizzo sulle modalità organizzative e assistenziali della rete dei centri di senologia, redatte da un gruppo di lavoro formato da alcuni dei massimi esperti italiani in senologia istituito presso il ministero della Salute e approvate nel dicembre del 2014 nella conferenza Stato-Regioni. A cui è seguita, il 24 dicembre 2020, la determina emessa dalla Regione Lazio (la n.G16239) “Rete oncologica regionale per la gestione del tumore alla mammella”, in cui vengono descritte le caratteristiche dei centri senologici integrati, dei medici che le compongono e del percorso medico-assistenziale che deve essere seguito.

Nel documento si legge che “la persona sarà seguita dallo specialista fino al termine dei 5 anni di follow-up o del trattamento ormonale e sarà cura dello specialista, coadiuvato dal case-manager, programmare gli esami con relativi appuntamenti; per le donne ad alto rischio di recidiva verrà valutata la possibilità di proseguire il follow-up oltre il quinto anno”.
E ancora: “Le pazienti ad alto rischio di recidiva possono proseguire il follow-up fino al decimo anno. La struttura che ha in carico la persona garantisce l’esecuzione degli esami strumentali richiesti presso la stessa o uno dei servizi di senologia prossimo alla residenza della persona con il quale la struttura si raccorda”.

In sostanza, nei centri senologici integrati, è prevista la presa in carico di tutti i bisogni fisici e psicologici della donna con carcinoma mammario. E, per questo motivo,
questi luoghi rappresentano il posto migliore per effettuare gli screening periodici, perché qualora emerga la necessità di ulteriori controlli o esami specifici, sarà la stessa struttura a farsene carico. Riducendo, per le donne, lo stress legato alla ricerca, di volta in volta, dei necessari specialisti.

“Mi sono sentita spaventata e insicura”
Fin qui i regolamenti. Quello che però emerge dalle testimonianze delle donne che sono state o sono tutt’ora in cura nei centri senologici degli ospedali di Roma, però, è che questi protocolli non vengono sempre seguiti alla lettera. Come racconta Elena, 45 anni.

Ha 41 anni quando, nel febbraio del 2021, riceve la diagnosi di tumore al seno: “Sentivo un nodulo che mi ha messo in allarme – racconta – e così mi sono rivolta al Fatebenefratelli, senza prenotazione, ma solo con impegnativa perché un giorno a settimana la struttura visitava le donne che sospettavano un’urgenza. Da quel momento sono stata presa in carico dal centro senologico integrato dell’ospedale e operata per una mastectomia del seno sinistro”.

L’approccio iniziale con la struttura “soprattutto dal punto di vista umano, è positivo – spiega Elena -. A distanza di mesi dall’operazione, però, dovevo sottopormi a regolari controlli, come previsto dal followup, con un oncologo, per cui avevo bisogno di una serie di esami da portare alla visita: mammografia, ecografia del seno, moc. Da quel momento iniziano le difficoltà.
Perché la normativa prevede che quando una donna viene presa in carico da una breast unit, sia poi la stessa struttura a fornire gli appuntamenti per i vari esami.

Bene, questo non è successo, non c’è stata una vera presa in carico, non riuscivo a farmi dare una data per questi controlli. Per avere un’ecografia transvaginale mi sono dovuta rivolgere al privato. Mi sono sentita insicura, spaventata. A fine ottobre 2021 sono stata di nuovo operata per mettere la protesi e a febbraio avrei dovuto ricominciare i controlli del relativo follow-up. Ma non volevo pensare di vivere quello stesso calvario ancora per tanto tempo e così ho deciso di cambiare struttura”.

Non riuscivo ad avere gli appuntamenti per le visite di controllo, mi sono sentita insicura. Spaventata.
Elena – Assemblea per la salute delle donne

Così Elena si rivolge al policlinico Tor Vergata, “ma neanche lì – prosegue – posso dire di aver trovato quella presa in carico che sarebbe dovuta alle donne operate per un tumore al seno. Non c’è quel supporto che sarebbe necessario”.

Elena lo sperimenta quando, dopo la mia prima gravidanza, e il parto, nel luglio del 2024, si sente male e viene ricoverata in pronto soccorso al Sant’Eugenio, dove aveva partorito: “Vengo sottoposta a una tac – racconta da cui emergono delle anomalie al fegato, uno dei luoghi di metastasi del seno. Mi è stato detto di fare un approfondimento con un oncologo. Ho subito contattato la dottoressa che mi seguiva, per mostrarle la tac, lei mi ha risposto che si trattava di lesioni benigne, ma ha comunque richiesto una risonanza magnetica. Bene, non c’era possibilità di prenotare un appuntamento prima di 5/6 mesi”.

Un arco di tempo “troppo lungo da sopportare – spiega con la paura di avere una metastasi. Alla fine ho deciso di fare la risonanza privatamente. Per fortuna non sono emerse criticità, ma ho preferito comunque cambiare ancora una volta struttura. Perché, di nuovo,
mi sono sentita insicura. Ho chiesto lo spostamento al policlinico Umberto I, alla fine di dicembre dello scorso anno. Al momento non sto trovando difficoltà particolari, anche perché l’esperienza vissuta mi ha portata ad avere piena consapevolezza dei miei diritti come paziente di queste strutture e lottare per farli rispettare. Per me e per le altre donne”.

“Attese infinite per un ciclo di chemioterapia”
Alessandra ha 38 anni, nel 2023 scopre di avere un carcinoma mammario: “Le mie difficoltà sono emerse da prima – racconta – per far valere l’urgenza della prescrizione per un’ecografia al seno. Alla fine sono andata in un centro privato convenzionato e, successivamente, sono stata messa in contatto con la breast unit dell’Umberto I. Qui sono riuscita a prenotare tutti gli esami del follow-up, ma ogni volta dopo lunghe battaglie per far valere i miei diritti, di cui ero a conoscenza grazie al lavoro dell’Assemblea per la salute delle donne, a cui mi ero avvicinata. Ma non mi sono sentita seguita e presa in carico da un case manager come previsto dalla normativa”.

Non solo: “I medici sono bravi e professionali, ma mancano gli spazi per le chemioterapie. Le attese per i cicli sono spesso insostenibili, una volta ho dovuto aspettare sei ore per fare un ciclo di un’ora e mezzo”.

Difficoltà ad avere appuntamenti per le visite, fino a essere spinte in alcuni casi a prenotare altrove gli esami, assenza di comunicazione tra i vari specialisti della breast unit, sono i disagi che raccontano di aver vissuto spesso tante donne in cura nei centri senologici degli ospedali di Roma. Nadia, una delle attiviste più battagliere dell’Assemblea, che è stata operata al seno nel 2010, aggiunge un altro elemento: “Nel fine vita le donne sono abbandonate, servirebbe una preparazione e un supporto adeguato per loro e per le famiglie, che purtroppo non c’è”.

L’appello agli ospedali
Già nel 2021, l’Assemblea per la salute delle donne, insieme al Coordinamento regionale sanità, aveva scritto una lettera alla Regione e a tutti i centri senologici di Roma per denunciare i problemi, legati soprattutto alle difficoltà delle pazienti di ottenere gli appuntamenti per le indagini richieste nella struttura che le ha prese in carico.

“A rispondere – spiega Elena – sono stati solo gli ospedali Pertini e Sant’Eugenio che ci hanno assicurato di seguire la normativa prevista. Noi vorremmo che si costituisse, in ogni breast unit, un’assemblea di pazienti e lavoratori e lavoratrici che facciano un lavoro comune di miglioramento e, se necessario, uniscano le forze per richiedere più macchinari e personale. Un lavoro che finora abbiamo avviato solo al policlinico Umberto I”.

RomaToday ha contattato le strutture della Capitale in cui le donne hanno denunciato criticità: hanno risposto di non aver ricevuto segnalazioni, ma di essere disposte a ulteriori verifiche con le pazienti che stanno incontrando difficoltà (non sono invece arrivate risposte dal Fatebenefratelli e dall’Umberto I).

06 marzo 2025 01:05
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